SAN
FRANCISCO - "Dio mi stramaledica se non lascerò fumare marijuana a
chi ne ha bisogno per motivi di salute", tuona Mike Nevin,
dirigente di polizia a San Francisco. Eppure la Corte Suprema degli
Stati Uniti è stata chiara. Lunedì scorso ha bocciato la
legalizzazione della marijuana, con o senza ricetta medica. Ma le
autorità della California si ribellano compatte: non applicheranno la
sentenza dell'alta corte. La guerra dello spinello scatena nello Stato
più libertario degli Usa impulsi di secessione contro l'America
bacchettona di George Bush. Lo State attorney general Bill Lockyer - il
ministro della Giustizia californiano - usa toni di sfida: "Quel
che è bene per la salute dei nostri cittadini, lo abbiamo sempre deciso
a livello locale".
Scricchiola il federalismo americano: prevarranno i giudici togati di
Washington, o la volontà democratica degli elettori californiani? Sì,
perché la legalizzazione "terapeutica" dello spinello qui è
stata decisa a furor di popolo, con la vittoria di un referendum locale
nel 1996.
Da allora la California è stata imitata da altri otto Stati, tra cui i
vicini Arizona, Colorado, Nevada e Oregon. Solo nella città di Oakland
(Baia di San Francisco) sono censiti 900 medici che prescrivono
regolarmente la marijuana. La loro motivazione: si tratta di un buon
palliativo contro certi sintomi debilitanti dell'Aids, dell'epilessia,
del glaucoma, della sclerosi multipla; aiuterebbe anche a lenire gli
effetti collaterali delle chemioterapie anticancro. I pazienti
californiani che fumano pot (il nomignolo della marijuana) con la
ricetta medica sono ufficialmente 30.000. Ma l'esercito dei consumatori
reali è cinquanta volte più numeroso. La ben nota tolleranza delle
autorità locali fa sì che lo spinello sia venduto alla luce del sole
anche agli adolescenti, per esempio sui marciapedi di Haight Ashbury, il
quartiere hippy di San Francisco.
La sentenza della Corte Suprema è inappellabile. In teoria, va
applicata immediatamente. Dovrebbe scattare senza pietà la chiusura
delle oltre 20 cooperative ufficiali di coltivatori - distributori di
marijuana, sorte dopo il referendum del '96. "E noi invece siamo
sempre qui - ha dichiarato ieri il presidente di una di queste
cooperative, Scott Imler del Cannabis Resource Center di West Hollywood
- la nostra missione continua, le nostre porte rimangono aperte per
tutti i clienti". Stessa musica alla Oakland's Cannabis Buyers', la
pietra dello scandalo, la cooperativa che è stata trascinata in
tribunale fino alla Corte Suprema. "Sì, in teoria possono
chiuderci da un momento all'altro - ammette il suo avvocato Gerald
Uelmen - se è per quello possono anche arrestare i pazienti. Ma noi
continuiamo a riceverli e a distribuire marijuana".
Nello scontro tra Stati Uniti d'America e California, per ora i rapporti
di forze sono nettamente a sfavore di Washington.
Dall'atteggiamento delle autorità locali è chiaro che un agente di
polizia di San Francisco o di Los Angeles non fermerà mai una persona
che consuma marijuana dietro ricetta medica. La stessa persona, da lunedì
è passibile invece di arresto da parte di un agente federale della Drug
Enforcement Administration (Dea). "Ma ci sono solo 700 agenti della
Dea in California - dice Bill Zimmermann, direttore dell'associazione
Americans for Medical Rights di Santa Monica - Un po' pochi per
inseguire un milione e mezzo di fumatori di spinello!". Senza
l'appoggio delle forze dell'ordine californiane, la battaglia dei
"federali" è persa. Anche se riuscissero ad arrestare
qualcuno, ci penseranno i tribunali locali a rilasciarlo subito: dal
1996 le giurie popolari hanno sempre assolto i consumatori di marijuana.
È perfino invalsa una giurisprudenza lassista sulla coltivazione:
chiunque può far crescere nel proprio giardino fino a sette piante
mature e 12 germogli di piantine di canapa indiana, e può possedere
fino a 250 grammi di marijuana in casa per uso personale, senza ricadere
nella categoria dello spaccio.
"La California continuerà ad assolvere al suo ruolo storico - dice
il ministro della Giustizia Lockyer - resterà un laboratorio delle
politiche più avanzate a favore dei cittadini. Vogliamo aiutare i
nostri ammalati che non hanno altre speranza di alleviare le loro
sofferenze". Lo confortano numerose testimonianze di pazienti in
cura. Angel McClary, 35 anni e un tumore al cervello inoperabile, dice
che dal 1998 la marijuana le è indispensabile per alleviare le sue
sofferenze: "Adesso dovrei andare alla ricerca di uno spacciatore?
La Corte Suprema vuole gettarmi nelle braccia dei criminali".
A dire il vero la comunità scientifica è tutt'altro che unanime
sull'utilità terapeutica dello spinello. Gary Cohan, medico di Los
Angeles specialista dell'Aids, sostiene che esistono farmaci ben più
efficaci: "Contro la nausea e il vomito provocati dalla
chemioterapia anticancro o dalle cure antiAids, c'è una nuova
generazione di medicinali antiemetici dagli effetti molto più
benefici". (Qualcuno però sospetta che dietro la campagna
antimarijuana ci sia proprio la lobby dell'industria farmaceutica,
interessata a promuovere i suoi prodotti).
La legittima attenzione verso gli interessi dei malati nasconde uno
scontro di portata più generale, fra la filosofia antiproibizionista
che finora ha prevalso in California, e il rilancio della guerra alle
droghe annunciato in questi giorni da George Bush. Molte organizzazioni
di genitori, angosciate dal nuovo boom delle tossicodipendenze tra i
giovani fin dalla scuola media (non solo spinelli ma coca, eroina,
metanfetamine), appoggiano decisamente il nuovo giro di vite. Compresa
la sentenza della Corte Suprema.
Citizens for a DrugFree Berkeley, un'associazione di volontariato per la
lotta alla droga, applaude alla bocciatura costituzionale del referendum
californiano: "È una vittoria per chiunque in America voglia
vivere in un ambiente sano, e sicuro".
"Ma la domanda non scompare magicamente per effetto di una sentenza
dei giudici - obietta Wayne Justmann dell'ospedale di Divisadero Street
a San Francisco - il rischio è che in consumatori abituali vengano
gettati verso il circuito clandestino".
Di fronte a una polizia locale che incrocia le braccia e ignora
platealmente la Corte suprema, i "federali" della Dea che
lavorano in California sanno di trovarsi in territorio nemico.
Diplomaticamente, cercano di non esasperare gli animi. "Non ci
interessa la caccia al consumatore e neanche alla piccola cooperativa di
vendita - dice il portavoce della Dea di Los Angeles, Jose Martinez - il
nostro obiettivo sono le grandi organizzazioni di produzione e di
spaccio su vasta scala".
Ipocriti, li accusa implicitamente Dale Gieringer, che guida la crociata
antiproibizionista con la National Organization for the Reform of
Marijuana Laws: "Tutti sanno che il governo federale non è neppure
capace di impedire a vostro figlio di procurarsi lo spinello sui banchi
di scuola".
Lo spinello libero infiammerà davvero sentimenti
"secessionisti" nella ricca California, sesta potenza
industriale del mondo con un Pil superiore all'Italia? Questo Stato è
da sempre all'avanguardia nelle battaglie antiautoritarie contro
l'establishment di Washington, a partire dalla rivolta di Berkeley
contro la guerra del Vietnam nel 1967. Alle ultime presidenziali ha dato
il 60% dei voti ad Al Gore, schiacciando i repubblicani locali al minimo
storico. E disubbidendo sul casomarijuana i californiani sfogano ben
altri rancori e tensioni, esasperati dalla crisi energetica. La Casa
Bianca sta usando i blackout elettrici come pretesto per imporre alla
California di smantellare le sue leggi ambientaliste e di rilanciare il
nucleare. Ma pochi giorni fa un'indagine ha rivelato che blackout e
rincari della luce in California sono stati in parte manipolati dal
colosso privato dell'energia El Paso, per aumentare i suoi profitti. El
Paso ha sede nel Texas. Ed è un generoso finanziatore di Bush.
(17 maggio 2001)
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